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Spagna-Italia, il viaggio della speranza «Questo Erasmus me lo ricorderò»

Nei primi giorni di marzo il numero dei casi di coronavirus nella città di Madrid e nella regione de La Rioja iniziarono ad aumentare. Anche all’università l’atmosfera era più tesa: spesso a lezione gli studenti chiedevano ai professori se fosse plausibile la chiusura delle università anche in regioni non ancora colpite in modo sostanziale dal coronavirus, come la nostra.
La cronistoria
Il pomeriggio del 12 marzo l’università di Salamanca venne chiusa, mi colse di sorpresa: quella stessa mattina ero stata a lezione, ma non avevo colto alcun segnale di preoccupazione più evidente del solito né si vociferava di un’imminente chiusura. Ricordando le immagini dei supermercati razziati durante primi giorni di emergenza in Italia, mi misi di corsa le scarpe e mi recai al supermercato più vicino. Metà degli scaffali erano vuoti. Appena rientrata a casa, mi arrivò una mail dall’Università di Padova che mi chiedeva di comunicare il più in fretta possibile se avevo intenzione di rimanere in Spagna o se volevo essere rimpatriata. La stessa mail arrivò anche alla mia coinquilina. In vista della probabile partenza, uscimmo in cerca di mascherine, ma senza successo. In ogni farmacia trovavamo affisso un foglio: "No mascarillas". Non contando le file di persone in attesa fuori dalle farmacie, le strade erano incredibilmente poco affollate. La sera i bar erano mezzi vuoti.
Il 14 marzo il presidente Sanchez dichiarò lo stato di allarme in tutta Spagna annunciando la chiusura di tutte le attività non indispensabili per la sopravvivenza e chiedendo alla popolazione di rimanere in casa salvo casi di estrema necessità. La quarantena era ufficialmente iniziata. Il silenzio per le strade era spezzato solamente dall’applauso delle 20 rivolto a tutto il personale sanitario impegnato nella lotta contro il coronavirus. Alle 20 Salamanca tornava per un attimo a vivere e a festeggiare: c’era chi applaudiva, chi suonava le percussioni, chi cantava. Poi, di nuovo silenzio.
Il 18 Marzo l’ambasciata italiana a Madrid ci comunicò che erano stati disposti dei voli straordinari per il rientro degli italiani dalla Spagna. Girammo parecchie farmacie per trovare delle mascherine. Una pattuglia di polizia che faceva la ronda ci vide in Plaza Mayor e da lontano ci urlò di stare più lontane.
Viaggio della speranza
Il giorno dopo partimmo per un vero e proprio viaggio della speranza dato che le comunicazioni tra Salamanca e Madrid erano state ridotte a zero. I bus per raggiungere l’aeroporto non erano disponibili, era rimasto solo il treno. La coda per l’imbarco delle valigie era infinta: centinaia di studenti Erasmus che, come noi, erano partiti dai punti più disparati della Spagna per arrivare in qualche modo in aeroporto. Un aereo pieno di studenti provenienti da tutta Italia con la stessa domanda: da Roma, come arrivo poi a casa mia? C’era chi avrebbe preso a noleggio una macchina, chi avrebbe dormito in aeroporto a Fiumicino in attesa del primo volo verso la Sicilia o la Puglia e chi avrebbe trovato i genitori ad attenderli, come me. Nonostante la doverosa quarantena questo Erasmus non lo scorderò.
Lucrezia Scarpa